La giuria della quindicesima edizione del Premio Nazionale di Filosofia Le figure del pensiero ha assegnato il primo premio, nella sezione “Saggio edito” a Donatella Pagliacci per il suo libro L’io nella distanza. Essere in relazione, oltre la prossimità, Mimesis, Milano 2019. La premiazione si svolge a Certaldo (Fi) il 27 giugno alle 10.30 presso il Palazzo Pretorio situato nel borgo storico. Donatella Pagliacci, già direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose di Arezzo, è professore associato di filosofia morale e insegna antropologia filosofica ed etica della persona all’Università di Macerata. L’ambito tematico da cui ha avuto inizio l’attività di ricerca è il plesso di voluntas amor in Agostino di Ippona, cui è dedicato, tra l’altro, il volume Volere e amare. Agostino e la conversione del desiderio (2003). Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo anche Sapienza e amore in Étienne Gilson (2011).
L’io nella distanza. Essere in relazione, oltre la prossimità
In questo lavoro Donatella Pagliacci analizza il termine “distanza” nella sua accezione topografica, nel senso di un intervallo tra un oggetto e un altro, ma può anche essere assunto in modo negativo per sottolineare la volontà di mantenersi separati da una persona o un oggetto che percepiamo come pericoloso, o contrario al nostro bene. L’approfondimento del significato della distanza permette di disegnare uno spazio di comprensione di sé, nel quale l’io si interroga sulla propria origine e destinazione, ma anche sul proprio sentire interiore. La riflessione circa l’origine dell’essere umano, viene esplorata in duplice senso: risalendo ai racconti della tradizione ebraico-cristiana e confrontandosi con l’esperienza originaria del venire alla luce.
La nascita rimanda anche all’esperienza della custodia e della generazione, attraverso la quale sperimentiamo il momento benefico del distacco dall’altro, come condizione di possibilità del nostro stesso venire al mondo e di sperimentare il carattere dell’apertura ad esso. Fragili e incapaci di sostenere la tensione del desiderio viviamo il nostro essere corporeo in modo equivoco. L’unitarietà dell’essere umano consente di mettere a fuoco il nostro rapporto con le ferite che il dolore infligge all’io rendendolo fragile, sofferente e pertanto bisognoso di cura, accoglienza, riconoscimento. Nell’essere accanto, presso la sofferenza dell’altro, ciò che conta è la possibilità di rimettere la dignità dell’altro al centro. Il momento più tragico è rappresentato dall’ultima distanza: quella della morte, che può rappresentare la disfatta totale e la liquidazione di ogni speranza. L’altro così accompagna il nostro vivere trasfigurato dalla sua assenza presente e, mediante la memoria del suo esserci, sperimentiamo la possibilità di vivere lo stesso scorrere di sempre, in altro modo, con altre sfumature di senso.