Il 20 novembre del 1945 prendeva il via il Processo di Norimberga. Per la precisione iniziava quello principale, che sarebbe durato circa un anno, concludendosi con la condanna a morte di gran parte dei gerarchi nazisti sopravvissuti alla guerra. Altri dodici processi di Norimberga sarebbero continuati negli anni successivi completando il lavoro e il giudizio del Tribunale internazionale composto da giudici e procuratori di Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia, le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale.
La decisione di tenere un processo
Tra il 1943 e il 1945 nei vari incontri fra britannici, statunitensi e sovietici per stabilire come gestire l’andamento della guerra e poi il futuro ordine mondiale ci si chiese anche se e come giudicare le leadership dei paesi responsabili dell’inizio della Seconda guerra mondiale. In un primo tempo si riteneva giusto processare i criminali di guerra utilizzando le leggi dei paesi dove erano stati commessi i reati. Successivamente prevalse l’idea di utilizzare capi di accusa che superassero il collegamento diretto con il territorio dove era stato commesso il fatto attingendo dalle convenzioni internazionali come quella di Ginevra del 1929, quelle dell’Aia del 1899 e 1907 e il patto Briand-Kellog del 1929. Il fatto che parte di queste non fossero state sottoscritte dalla Germania solleva delle perplessità sulla legittimità della procedura. A processo concluso le Nazioni Unite avrebbero adottato i cosiddetti Princìpi di Norimberga, con l’obiettivo di dare un contorno giuridico e condiviso ad alcuni crimini internazionali.
I quattro vincitori della guerra ritennero giusto che il processo si tenesse in Germania e furono valutate tre città simbolo del nazismo come Berlino, Monaco e Norimberga. Quest’ultima faceva da scenografia a molti raduni che Hitler aveva tenuto durante il suo lungo cancellierato e allo stesso tempo aveva un palazzo di giustizia con annessa prigione non particolarmente danneggiati durante la guerra. Una volta fatta la scelta occorreva preparare l’edificio ad ospitare quello che sarebbe diventato anche un evento mediatico e non solo giuridico. Contemporaneamente vennero scelti ventiquattro imputati che potessero rappresentare tutti gli ambiti del nazismo. Gli avvocati della difesa sostennero fin a subito la violazione del “nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali”, il principio secondo cui non si può giudicare un imputato in base a delle leggi che non esistevano al momento del presunto crimine, e contestarono il fatto che i vincitori della guerra allestissero un tribunale in Germania per giudicare gli sconfitti.
I capi di imputazione e la scelta degli imputati
Vennero individuati quattro capi di imputazione: aver cospirato contro la pace, aver pianificato, iniziato e intrapreso guerre d’aggressione, aver commesso crimini di guerra e aver commesso crimini contro l’umanità. Con il suicidio di Hitler, Himmler e Goebbels, l’ospite più illustre delle prigioni di Norimberga fu Hermann Göring, già a capo dell’aviazione tedesca e seconda carica politica del Reich dopo il viaggio (o fuga) di Rudolf Hess in Scozia. Anche Hess, nonostante fosse prigioniero dei britannici dal 1941, fu giudicato nel Processo di Norimberga. Altri personaggi importanti del regime hitleriano presenti nel dibattimento furono l’ex ministro degli esteri Joachim von Ribbentropp assieme a coloro che firmarono la capitolazione tedesca, Alfred Jodl e Wilhelm Keitel, e l’ultimo capo di stato del Reich Karl Dönitz, oltre all’ex ministro Albert Speer.
Alcuni dei ventiquattro non arrivarono al processo, come l’industriale Gustav Krupp, già malato di demenza senile, che sarebbe morto nel giro di pochi anni e quindi esonerato dal dibattimento, Robert Ley che riuscì ad impiccarsi prima dell’inizio del processo e Martin Bormann, considerato latitante ma probabilmente già morto nell’esplosione di un carro armato il 2 maggio del 1945 mentre cercava di scappare da Berlino.
Tra i ventuno arrivati in aula, alcuni ricoprivano un ruolo meramente simbolico, come il giornalista radiofonico Hans Fritzsche, che di fatto sostituiva a Norimberga il ministro della propaganda nazista Goebbels. Altri imputati che forse non meritavano di essere processati furono l’ex presidente della banca centrale prima della guerra, Hjalmar Schacht, che finì all’interno di un campo di prigionia durante il nazismo per essere stato in disaccordo con Hitler, o Franz von Papen, già cancelliere tedesco prima di Hitler e quindi brevemente vicecancelliere del Führer, prima di venire allontanato con il ruolo di ambasciatore tedesco in Austria e poi in Turchia.
Dibattimento ed esito del processo
Il processo iniziò il 20 novembre con l’insediamento della corte, il discorso del procuratore Robert Jackson, la lettura dei capi d’accusa e la dichiarazione di non colpevolezza che i ventuno imputati proclamarono in aula. Gli imputati sollevarono il problema della legittimità del tribunale ribadendo che i vincitori stavano giudicando i vinti e di conseguenza non sarebbe stato un processo equilibrato, con condanne di fatto già prestabilite. Per la prima volta vennero mostrate pubblicamente le immagini di quello che i soldati sovietici avevano trovato all’interno dei campi di concentramento e furono ascoltate deposizioni dei sopravvissuti. Il direttore del campo di Auschwitz Rudolf Höss, che sarebbe stato giudicato e condannato a morte in un processo successivo, descrisse in modo raccapricciante l’intero operato della struttura da lui diretta. La linea di difesa di molti fu quella di giustificare il proprio operato con l’obbedienza agli ordini diretti dei propri superiori o di Hitler in persona. Protagonista del processo fu Göring, che utilizzò Norimberga come ultimo palcoscenico per poter parlare al popolo tedesco e al mondo intero, e che con l’ironia riuscì a mettere più volte in difficoltà chi lo interrogava. Durante le sue deposizioni ricordò che la scelta di unire le due cariche politiche presenti in Germania prima del nazismo, Presidente della repubblica e Cancelliere, in quella unica poi ricoperta da Hitler, fosse ispirata dalla costituzione degli Stati Uniti d’America, dove il capo di stato guida anche il governo.
Se Göring guidò la parte di imputati che rimase fedele al Reich fino all’ultimo secondo della propria vita, l’architetto Speer fu quello che prese le maggiori distanze dal nazismo, arrivando ad affermare di aver progettato un piano per uccidere Hitler. Rudolf Hess diede più volte dimostrazione di non essere completamente a posto dal punto di vista mentale e durante l’intero processo sembrò quasi non comprendere del tutto quello che stava accadendo. Le sentenze arrivarono dopo poco meno di un anno di lavoro, il primo ottobre 1946. Tra i ventuno imputati dodici vennero condannati a morte per impiccagione: Göring, von Ribbentropp, Jodl, Keitel, Rosenberg, Frick, Seyss-Inquart, Sauckel, Frank, Kaltenbrunner, Streicher e il presunto contumace Bormann. Hess, Raeder e Funk ebbero all’ergastolo, Speer e Von Schirach venti anni di reclusione, von Neurath quindici e Dönitz dieci. Fritzsche, Schacht e von Papen vennero assolti. Ai militari condannati alla pena capitale fu negata la possibilità di essere fucilati. Alcuni dei condannati a pene detentive ebbero sconti di pena dovuti alle precarie condizioni di salute. Göring scampò all’impiccagione riuscendo a suicidarsi con una capsula di cianuro poche ore prima dell’esecuzione. Sarebbe stato suo l’onore, il 16 ottobre, di salire per primo sul patibolo, dove fu sostituito da von Ribbentropp. I corpi dei giustiziati furono successivamente cremati e le ceneri disperse.
I processi minori
Successivamente vennero portati alla sbarra molti altri esponenti nazisti in quelli che furono chiamati processi secondari di Norimberga. Questi furono gestiti solo dagli statunitensi poiché dopo il processo principale ogni potenza giudicò i propri prigionieri tedeschi con modalità differenti. Negli altri processi legati a Norimberga furono giudicati i medici responsabili di numerosi esperimenti su deportati e prigionieri di guerra, i giudici e membri del ministero di giustizia in epoca nazista, gli ex membri del governo, i responsabili dei campi di concentramento, gli industriali, membri delle SS e altre categorie di persone legate ai crimini nazisti. Nei processi secondari i casi di condanna a morte furono minori rispetto a quello principale.
La mancata Norimberga italiana e quella giapponese
L’uccisione di Mussolini e dei principali gerarchi della Repubblica Sociale Italiana rese inutile un percorso simile in Italia. In realtà dai Paesi che avevano subito l’occupazione italiana venne chiesta la possibilità di processare personaggi come Pietro Badoglio, Rodolfo Graziani o Mario Roatta. Crimini di guerra italiani vennero compiuti sia nelle colonie come Etiopia, Eritrea, Somalia e Libia, sia nei territori occupati come Jugoslavia, Albania e Grecia. Successivamente emersero anche prove di sommarie esecuzioni nella campagna di Russia. In particolar modo fu la Jugoslavia ad insistere per processare gli italiani, considerate le deportazioni e violenze subite durante l’occupazione italiana. L’emergere di episodi analoghi compiuti dalla parte slava dopo la sconfitta dell’Italia e la posizione politica di rottura assunta da Tito nei confronti dell’Unione Sovietica contribuì a far parlare sempre di meno del reciproco problema. In seguito anche l’amnistia promossa da Palmiro Togliatti nel 1946 contribuì a raffreddare la situazione all’interno del Paese.
Il Giappone ebbe una propria Norimberga, il Processo di Tokyo, che si svolse in modo simile a quello contro le autorità del Reich tra il maggio del 1946 e il novembre del 1948. Venticinque gli imputati, una corte internazionale e una procura composta non solo dalle quattro potenze vincitrici ma anche da Australia, Cina, Canada, Filippine, India (all’epoca ancora colonia britannica), Nuova Zelanda e Paesi Bassi, ovvero parte dei Paesi che avevano subito l’aggressione del Giappone. Nei processi minori furono perseguiti circa cinquemila persone tra le quali figure che dopo la guerra avrebbero ricoperto anche importanti ruoli politici. Le polemiche che accompagnarono il Processo di Tokyo furono in parte simili a quelle di Norimberga e in parte molto diverse. Singolare il fatto che l’Imperatore Hirohito e tutti i membri della famiglia imperiale, della quale molti princìpi combatterono la guerra in ruoli importanti o ebbero responsabilità politiche, vennero tenuti fuori dal dibattimento. Non solo non vennero accusati di alcun crimine, ma neppure sentiti come testimoni. Procura ed imputati lavorarono proprio per garantire una sorta di immunità all’Imperatore e per fare in modo che non fosse tirato in ballo da nessuno dei processati. Contrariamente al processo in Germania ci furono molte condanne all’ergastolo e poche condanne a morte. Tra queste ultime il Primo Ministro giapponese all’epoca della guerra Hideki Toyo. Alcuni storici pensano che questa maggiore clemenza sia frutto proprio della linea concordata per esonerare la famiglia imperiale dalla vicenda. Solo due condannati evitarono la morte o il carcere a vita, tra questi singolare è la storia di Mamoru Shigemitsu, che dopo aver scontato una condanna di sette anni per essere stato un diplomatico e poi ministro degli esteri durante la guerra, negli anni cinquanta tornò a ricoprire per due anni l’incarico di ministro degli affari esteri. Più volte i giapponesi hanno sollevato perplessità sul fatto che nessun americano abbia mai subito processi per le stragi conseguenti alle due bombe atomiche dell’agosto del 1945.