Esattamente come un ottimo film racconta le peripezie di Benito Mussolini negli ultimi giorni di vita, anche La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler, del 2004, ha portato sul grande schermo una serie di vicende che il grande pubblico non conosceva: quelle relative all’ultimissima fase dell’esistenza di Adolf Hitler e a ciò che accadde a Berlino nel bunker della cancelleria. Il film è tratto dai diari di Traudl Jungle, una delle segretarie del Führer, scomparsa nel 2002, che nel corso della sua vita non trovò mai particolare attenzione nei confronti delle esperienze da lei vissute in prima persona nei difficili giorni a Berlino tra aprile e maggio del 1945. I dettagli di quelle giornate sono state arricchiti da una pubblicazione del 2006 di Rochus Misch, centralinista e ultimo sopravvissuto, fino al 2013, tra coloro che prestarono servizio nel bunker della cancelleria.
Il compleanno di Hitler
Il 20 aprile del 1945 Adolf Hitler compiva cinquantasei anni. Sarebbe stato il suo ultimo compleanno. La prima sorpresa arrivò direttamente dai sovietici, che per la prima volta poterono cannoneggiare il centro di Berlino essendo a una decina di chilometri dalla periferia della città e a poco di più dal bunker dove Hitler e i principali collaboratori si erano trasferiti già dal gennaio precedente. Il bombardamento fece prendere atto a Berlino della serietà della situazione meglio delle notizie, spesso confuse, che fino a quel momento erano arrivate dal fronte. Tutti furono consapevoli che presto la città sarebbe stata circondata ed era opportuno evacuarla e soprattutto spostare la catena di comando in aree più sicure. Hitler era ancora fiducioso che il disimpegno di alcune delle truppe dislocate sul fronte occidentale avrebbe potuto contribuire alla difesa di Berlino. Il Führer pensava, o sarebbe meglio dire sognava, che la capitale potesse divenire una nuova Stalingrado da cui far partire un’offensiva in grado di ribaltare gli esiti della guerra. Rifiutò più volte la proposta di lasciare la città e spostarsi in parti più sicure del Reich, ma autorizzò il trasferimento dei ministeri e di molti dei principali personaggi del regime tra cui Göring, Himmler e Speer. Joseph Goebbels decise invece di rimanere a Berlino e come lui fece Martin Bormann. Hitler sottolineò più volte che il suo ruolo sul palcoscenico della storia sarebbe stato quello di restare a Berlino fino all’ultimo momento.
La battaglia di Berlino e la morte del Führer
I sovietici, supportati da alcune divisioni polacche, avanzavano rapidamente su tutto il fronte orientale nonostante una disperata resistenza tedesca. All’interno del bunker si susseguivano riunioni deliranti dove Hitler continuava ad immaginare contrattacchi, spostamenti di truppe e ipotesi di ribaltare la situazione. Alcuni esponenti del Reich lo continuavano a sostenere e solo qualche responsabile militare cercava di fargli comprendere che era solo questione di tempo: Berlino sarebbe stata presa dal nemico. Cinematograficamente è celebre lo scatto d’ira del Führer relativamente all’impossibilità di muovere in soccorso della capitale le armate del generale Felix Steiner. L’episodio accadde realmente e rappresentò il momento della presa di coscienza di Hitler che la guerra era destinata ad essere persa. Nonostante questa ulteriore consapevolezza il Führer continuò a considerare fondamentale la sua presenza nella capitale.
Il 25 aprile Berlino era completamente circondata e i soldati sovietici e americani si incontrarono per la prima volta lungo il fiume Elba. La Germania era tagliata in due, con le truppe concentrate a sud nella Baviera e a nord nella zona di Amburgo. Un’altra grande sacca era attorno a Praga, completamente isolata dal resto della Germania. Le dinamiche nei sotterranei del palazzo della cancelleria proseguivano in modo bizzarro, alternando riunioni a feste in cui l’alcol scorreva a fiumi. Nel frattempo Hitler veniva tradito tre volte. Le prime due da Himmler e Göring che considerando il Führer non in grado di guidare il Reich dalla sacca di Berlino si sentirono autorizzati a prendere il suo posto con l’intenzione di aprire una trattativa con gli anglo-americani. Il terzo tradimento fu quello di Albert Speer che rifiutò di mettere in atto il piano di Hitler destinato a distruggere tutte le infrastrutture della Germania. Il Führer destituì e condannò a morte i primi due mentre si limitò a congedare l’architetto Speer che ebbe il coraggio di comunicare personalmente ad Hitler le proprie decisioni. Vista la situazione di difficoltà comunicativa sia Himmler che Göring non furono perseguiti e sopravvissero alla resa della Germania, seppure per poco.
Le ultime ore di Hitler sono state tali da essere ricordate per la particolarità di una serie di atti passati alla storia. In effetti sembrano quasi studiati appositamente per questo, ma in realtà furono frutto dell’evolversi della situazione. Nella notte tra il 28 e il 29 aprile il Führer sposò Eva Braun con una breve cerimonia civile e subito dopo dettò il proprio testamento privato e quello politico. Poche ore dopo fu informato che i sovietici erano ormai a meno di 500 metri dal bunker e che i difensori del quartiere dei palazzi del potere erano a corto di munizioni. Fu molto colpito dalla notizia della morte di Benito Mussolini e dello scempio che a Piazzale Loreto avvenne dei corpi del Duce e della Petacci. Queste notizie contribuirono a rafforzare le decisioni già prese, e Hitler concordò con i più stretti collaboratori cosa fare del suo cadavere, dato che una volta suicidatosi non voleva diventare un trofeo di guerra per i sovietici. Assieme al proprio medico verificò l’efficacia del veleno sul cane Blondie. Il 30 aprile, poche ore prima rispetto a quando la bandiera rossa sarebbe stata issata sul Reichstag, Hitler e la Braun presero commiato dai propri collaboratori e si ritirarono nella propria stanza. Eva Braun utilizzò il cianuro e il Führer si sparò mentre spezzava una capsula dello stesso veleno nella bocca. Subito dopo i corpi vennero cremati con duecento litri di benzina in una fossa scavata nel giardino della cancelleria.
Il cancellierato Goebbels
Il numero due del Reich divenne numero uno per poco più di 24 ore. Ligio alle disposizioni di Hitler non era disponibile ad arrendersi ma inviò il generale Hans Krebs ad incontrare lo stato maggiore sovietico attraversando le linee nemiche. Krebs propose al generale Vasilij Čujkov un cessate il fuoco per poter aprire una trattativa e con l’occasione comunicò anche la morte di Hitler e la successione di Goebbels. Il comando sovietico intimò la resa incondizionata come unico atto che avrebbe potuto fermare la guerra. Tornato nel bunker Krebs riferì che senza la capitolazione non sarebbe stato possibile fermare la battaglia di Berlino. Ci furono pesanti scontri verbali tra coloro che erano favorevoli alla resa e chi voleva continuare ad oltranza una battaglia ormai persa. Goebbels decise che non avrebbe firmato la capitolazione ma di fatto, scegliendo di suicidarsi, lasciò via libera a coloro che volevano arrendersi. Nel proprio delirio di follia Joseph e la moglie Magda decisero che la vita non sarebbe potuta proseguire senza il nazionalsocialismo, assumendosi la responsabilità di questa scelta anche nei confronti dei propri sei figli, uccisi nel sonno con pasticche di cianuro. Goebbels sparò alla moglie e a sé stesso. Furono immediatamente cremati e collocati nei pressi nello stesso luogo dove erano sepolti Hitler ed Eva Braun sul giardino all’uscita di emergenza del bunker.
La resa di Berlino e la presa del bunker
Oltre a Goebbels si suicidarono anche Krebs e Burgdorf, tra coloro che si opponevano alla resa incondizionata, che si spararono alla testa all’interno del bunker. A questo punto, nella notte tra il primo e il 2 maggio, il responsabile della difesa di Berlino Helmut Weidling incontrò i sovietici e nel corso della notte si arrivò alla cessazione delle ostilità. Weidling stesso lesse un messaggio radio con il quale si comunicava che Hitler era morto e che la città aveva concordato la resa con il comando sovietico. Altri occupanti del bunker tentarono di abbandonare il luogo mescolandosi alla popolazione o forzando le linee nemiche. Con ogni probabilità Martin Bormann morì durante l’esplosione del carro armato dietro al quale stava cercando di scappare. Il corpo fu ritrovato solo nel 1974 ma è rimasta in piedi la possibilità che fosse riuscito a scappare e che poi fosse stato riportato a Berlino da morto. Il mistero non è stato mai chiarito del tutto e Bormann, forse vivo o forse già morto, ebbe una condanna a morte in contumacia al Processo di Norimberga.
Nella giornata del 2 maggio i sovietici presero sia il palazzo della cancelleria che il bunker dove trovarono ancora degli occupanti, che si arresero. All’interno della struttura furono scoperti i cadaveri dei sei figli della famiglia Goebbels, in pigiama nei propri lettini. Venne riesumato ciò che restava dei corpi di Hitler, Eva Braun e Joseph e Magda Goebbels che successivamente furono sottoposti ad autopsia e analisi dei calchi dentali per stabilire con certezza l’identificazione.
La fine della guerra
Dopo la morte di Hitler e Goebbels e la caduta di Berlino la Germania nazista sopravvisse ufficialmente altri 23 giorni, ovvero fino a quando il nuovo governo non venne arrestato nella città di Flensburg, vicino al confine con la Danimarca. L’ammiraglio Karl Dönitz era il nuovo capo dello stato nominato nel testamento di Hitler. Il cancelliere per un giorno Goebbels venne sostituito, dopo il suicidio, dal ministro della finanze Von Krosigk. Lo scopo di questo esecutivo fu quello di trattare la resa con gli alleati, mettere in salvo facendoli arrendere il maggior numero di soldati e tentare vanamente un riconoscimento per un’eventuale guida della Germania dopo la fine della guerra. Relativamente alla pace con gli alleati, Dönitz cercò senza risultati di negoziare un accordo prima con gli americani, inglesi e francesi e non con i sovietici. Questo tentativo venne subito fermato dagli alleati che obbligarono il governo tedesco a capitolare tra il 7 e l’8 maggio. Il governo cercò di spostare i propri soldati verso ovest preferendo farli arrendere non nelle mani dei sovietici. Infine la speranza di avere un ruolo nel dopoguerra fu fermata dalla mancanza di volontà degli alleati di riconoscergli alcun ruolo. Dönitz e parte del governo furono protagonisti del Processo di Norimberga. La disponibilità ad arrendersi senza ulteriori spargimenti di sangue aiutò Dönitz ed alcuni degli altri membri dell’esecutivo, come Albert Speer, ad evitare la pena di morte allo storico processo.
Il corpo di Hitler e la fine degli altri gerarchi nazisti
I resti di Hitler, Eva Braun, di tutta la famiglia Goebbels, forse di Krebs e di due cani furono messi in delle casse di proiettili di artiglieria e sotterrati prima nei pressi della cittadina di Rathenow, ad ovest di Berlino, e poi dal febbraio del 1946 in una base sovietica di Magdeburgo. Nel 1970, a causa di lavori che avrebbero interessato la zona di sepoltura e il ritorno dell’area sotto la sovranità della Repubblica Democratica Tedesca, i resti furono recuperati, distrutti e dispersi in un affluente dell’Elba. Per anni i sovietici hanno negato di avere le prove della morte del Führer nonostante avessero all’interno degli archivi del Kgb i resti dei denti e parte del cranio. La Germania riconobbe ufficialmente la morte di Hitler ed Eva Braun solo nel 1956, a dieci anni dalla loro irreperibilità.
Himmler si suicidò successivamente alla resa tedesca. Fu catturato dagli inglesi il 22 maggio nei pressi di Amburgo e il giorno successivo, al momento della perquisizione per scoprire se nascondesse del veleno, riuscì ad aprire una capsula di cianuro nascosta nei denti. Sempre con il cianuro ma in modo decisamente beffardo si suicidò Göring, che affrontò l’intero processo di Norimberga per poi uccidersi poche ore prima dell’esecuzione della condanna a morte per impiccagione nell’ottobre del 1946. Karl Dönitz e Alber Speer scontarono rispettivamente dieci e venti anni nel carcere di Spandau dopo le condanne subite a Norimberga. L’ultimo prigioniero nel carcere di Spandau fu Rudolf Hess, già prigioniero dei britannici dal 1941 in seguito alla cattura durante un’inspiegabile missione aerea in Scozia. Fu condannato all’ergastolo a Norimberga, ma fu protagonista di un poco chiaro suicidio in carcere nel 1987, all’età di 93 anni, quando gli alleati stavano per metterlo in libertà. Dopo la morte di Hess la struttura di Spandau che aveva ospitato i condannati di Norimberga fu in parte demolita e al suo posto oggi c’è un supermercato. Nell’area dove sorgevano la nuova cancelleria e il bunker oggi ci sono un parcheggio e un caseggiato. L’area si trova vicino all’indirizzo di Wilhelmstrasse 88. La scelta della Germania e delle potenze alleate di cancellare queste tracce di storia non ha trovato tutti concordi e tuttora oggi ci sono persone che vorrebbero trasformare le parti superstiti del bunker di Hitler in un museo storico.