Il primo appuntamento sportivo domenicale del 2021 è dedicato a Ivano Becci, figura di riferimento per ciò che riguarda il calcio del nostro territorio, dai “gloriosi” anni settanta fino ad oggi. Una vita intera trascorsa nel mondo del pallone, prima da giocatore, poi da allenatore, successivamente da direttore sportivo ed ora come uno dei nove che compongono il Comitato della Lega Nazionale Dilettanti. Il suo è tra i primi nomi che vengono fuori se parli con un “appassionato di pallone” della Valtiberina o se senti racconti dei protagonisti dell’ultimo mezzo secolo di calcio giocato. Conosciuto e unanimemente apprezzato, perché Ivano Becci è da sempre considerato un vero intenditore di calcio. Ha legato la sua vita sportiva soprattutto al Sansepolcro e a quella maglia bianconera che rappresenta la sua città e per la quale ha sempre dato l’anima, in campo, in panchina e dietro la scrivania. Nell’intervista di oggi affronteremo i temi legati al calcio di qualche anno fa, al difficile presente del mondo dello sport e ad un futuro ancora da scrivere.
Ivano, fai parte del Comitato della Lega Nazionale Dilettanti e considerato il momento che stiamo vivendo la prima domanda è d’obbligo. Ci sono indicazioni su quando ripartirà il calcio pieno regime?
Ancora no. L’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova tutto il mondo ed anche lo sport sta pagando un prezzo molto alto. La speranza è che si possa ripartire prima possibile, ma questo potrà avvenire solo in condizioni di sicurezza e nel pieno rispetto della tutela della salute. Nel calcio per esempio si è deciso di far proseguire i campionati fino alla Serie D, mentre per le realtà regionali, giovanili e amatoriali lo stop è stato inevitabile. Con tanto dispiacere, ma anche con doveroso senso di responsabilità. Vedremo cosa succederà e sarà importante non solo il quando, ma anche il come ripartire.
Ti piace il calcio di oggi?
Il calcio è sempre una passione e vado spesso allo stadio a vedere le partite, ma se devo dirti la verità mi piace meno rispetto a prima. La fisicità ha preso il sopravvento rispetto all’aspetto tecnico e ci sono meno attaccamento e meno romanticismo, se mi passi la parola. È anche vero comunque che passano gli anni e che magari per quelli della mia età c’è anche un pizzico di nostalgia. Tante cose sono cambiate e anche lo sport non ha fatto eccezione. È normale che sia così.
Ripartire dai giovani sarà sempre più importante, anche nel futuro prossimo. Sei d’accordo?
Assolutamente sì. Il settore giovanile deve essere la base su cui si fonda il movimento calcio e questo dovrà avvenire con maggior forza da qui in avanti. Sarà necessario investire sui giovani del posto e accompagnarli passo dopo passo nel loro processo di crescita, puntando sulla tecnica individuale e sul divertimento, fattori determinanti assieme alla competenza e alla passione degli istruttori. Non vedo alternative.
Visto che parliamo di calcio giovanile, cosa ti ricordi dei tuoi primi passi nel mondo del calcio?
Che era una vita fa innanzitutto. I primi calci al pallone li ho dati da ragazzino davanti alla Chiesa del Trebbio con i miei amici di quel tempo, in uno dei luoghi principali di ritrovo di Sansepolcro. Poi ho iniziato la trafila nel vivaio bianconero fino ad arrivare all’esordio in prima squadra, in Serie D, quando avevo circa 16 anni. Il mio percorso nel settore giovanile, così come del resto quello di tanti ragazzi della mia generazione, è stato legato alla figura del grande Gareffa, un maestro di calcio che aveva passione e competenza e che per me è stato una sorta di secondo padre. Mi ha aiutato a crescere nello sport e nella vita, con i suoi metodi e i suoi consigli. Ci faceva fare tanta tecnica di base e voleva che studiassimo perché sapeva quanto la scuola fosse importante. Il settore giovanile era già un fiore all’occhiello del Sansepolcro. Quanti bei ricordi.
Tra i ricordi più belli della tua carriera da calciatore immagino ci siano anche l’esordio in prima squadra e quel campionato di Serie D 1978-1979 culminato con la storica promozione in Serie C2. È così?
La mia esperienza in campo è legata principalmente al Sansepolcro, squadra per cui ho sempre sentito un attaccamento incredibile. Esordire con la maglia bianconera in Serie D era un sogno che si realizzava, così come essere protagonista al Buitoni, uno stadio sempre pieno di gente, un “bunker” quasi inespugnabile a quei tempi. Ogni partita era un’emozione e l’anno della promozione in Serie C fu una cavalcata incredibile per merito di un gruppo formidabile. Per Sansepolcro fu un passaggio epocale, per noi che eravamo quasi tutti giocatori del posto fu qualcosa di meraviglioso. Una grande squadra, tosta e con personalità, formata da calciatori fortissimi come ad esempio Chiasserini, Magara e Bonfante e diretta da Silvano Grassi, mister competente e persona eccezionale, dal carattere taciturno, ma che seppe darci tanto. Ricordo bene le gare decisive e la festa promozione che coinvolse l’intera città. Sensazioni e umori opposti rispetto all’anno della retrocessione, una batosta per chi come me ha sempre sentito la maglia bianconera come una seconda pelle. A Sansepolcro ho giocato tanti anni, ma ricordo con grande piacere anche l’esperienza vissuta con la Monterchiese in Prima Categoria, dopo l’infortunio al ginocchio e in una squadra di assoluto valore.
Che tipo di giocatore era Ivano Becci?
Un mediano di interdizione abile nel recupero palla. Correvo tanto, avevo discreta tecnica e carattere. Per caratteristiche, seppur con le dovute proporzioni, direi un giocatore alla Tardelli. Non avevo il talento puro di altri, ma ho sempre dato il massimo e fatto tante belle stagioni, giocando molto, vincendo abbastanza e soprattutto divertendomi. Poi grazie al calcio ho creato rapporti di amicizia che sono rimasti negli anni.
Dal campo alla scrivania senza però dimenticare una importante e vincente parentesi da allenatore.
Si, sulla panchina del Gs Borgo, dopo il fallimento e negli anni che per fortuna segnarono la nostra risalita in Promozione. C’erano voglia di rivincita ed entusiasmo e fu una bella esperienza per me. Comunque mi sono trovato decisamente più a mio agio nel ruolo di direttore sportivo che ho ricoperto successivamente per un bel po’ di anni, soprattutto ovviamente in bianconero.
E con ottimi risultati, visto che il Sansepolcro è diventato una delle realtà più prestigiose in Serie D e che negli anni novanta ha sfiorato il salto in C. Insomma uno dei segreti di quel periodo, a detta di molti, era la bravura di Ivano Becci nel costruire rose di livello.
Ci siamo tolti tante soddisfazioni e per me è stato un periodo meraviglioso. Sono felice di aver dato il mio contributo, ma il merito è stato di tutti quelli che ruotavano attorno alla società, dei vari allenatori e di chi in campo poi scendeva la domenica. Per ottenere risultati importanti serve che ogni componente faccia al meglio il proprio compito, cosa che succedeva spesso in quegli anni. Il campionato più intenso fu quello di Serie D 1995-96 in cui contendemmo la vittoria finale all’Arezzo ed in cui fu decisiva la penalizzazione di 14 punti per il “caso Guidotti”. Pagammo con una punizione decisamente severa il nostro errore e perdemmo la possibilità di lottare fino alla fine per la promozione in C. Fu un peccato ed una grande amarezza perché meritavamo almeno di giocarcela fino all’ultimo. Quella era una squadra tosta e agonisticamente superiore alla media. Un “blocco granitico” visti gli appena 11 gol subiti in tutto il campionato, ma anche una rosa che possedeva personalità e qualità, dato che tanti giocatori passarono poi tra i professionisti.
Il tuo rapporto con il Sansepolcro terminò nel 2007, anno in cui passasti al Castello Group. Anche con la società tifernate ti sei tolto belle soddisfazioni vero?
Mi chiamò Pasquale Senesi dicendomi che era un periodo complicato, che lui era intenzionato a lasciare la presidenza del Sansepolcro e che se mi arrivavano offerte avrei dovuto pensarci. Io volevo rimanere, ma poi il Castello Group mi fece una proposta a cui era impossibile rinunciare e così ebbe inizio la nuova avventura come direttore generale. Tre anni belli, con la promozione dall’Eccellenza alla Serie D e sfiorando poi anche la Serie C.
Quali sono stati i giocatori migliori che hai avuto in squadra con te in tutti questi anni?
Difficile scegliere perché ce ne sono stati davvero tanti. Dico comunque Fernando Chiasserini perché è stato il calciatore simbolo di quel mitico Sansepolcro e un difensore straordinario che a mio avviso poteva giocare anche in Serie B, Gaetano Boldrini per il suo talento purissimo e poi Italo e Giorgio Franceschini. Il primo per la sua personalità, il secondo per il suo essere attaccante capace di segnare e di fare reparto da solo. Senza dimenticare ovviamente i vari Bonfante, Recchi, Cucchi, Lacrimini, ecc.
Ivano, chiudiamo questa chiacchierata con un consiglio che vorresti dare ai giovani calciatori di oggi?
Di impegnarsi e dare il massimo, ma soprattutto di divertirsi giocando a calcio perché se non si hanno gioia e passione è impossibile raggiungere i risultati!