In seguito allo stop del calcio dilettanti che coinvolge tutte le squadre della Valtiberina Toscana, abbiamo pensato di riproporre la rubrica dedicata alle storie delle “vecchie glorie calcistiche” del nostro territorio. Nella puntata odierna spazio ad un grande ex del Sansepolcro, una colonna della squadra bianconera, un simbolo di quella meravigliosa compagine che conquistò la promozione in C2 nella stagione 1978-1979, la bandiera per antonomasia del calcio biturgense, Fernando Chiasserini. Per lui oltre 500 presenze in prima squadra ed una carriera ricca di soddisfazioni vissute con il cuore e con dedizione, negli anni in cui il calcio era, più di oggi, passione popolare e sentimento. Il suo amore per i colori bianconeri è lo stesso di allora e agli occhi degli appassionati resterà per sempre uno dei grandi simboli del calcio biturgense. Legame forte, indissolubile, sincero per una storia cominciata quasi per caso quando Chiasserini non ancora sedicenne si mise in mostra in un torneo a Pieve Santo Stefano. Proprio da lì comincia il nostro racconto.
Fernando, come è iniziata la tua avventura nel Sansepolcro?
Io ho sempre abitato nella frazione di Santa Fiora e guidati dal nostro parroco partecipammo ad un torneo a Pieve Santo Stefano, un triangolare con Sansepolcro e Sulpizia. Quella bianconera era la squadra più forte ed infatti dopo pochi minuti perdevamo già 3-0. Essendo io il giocatore più bravino della squadra, il parroco nelle vesti di allenatore, decise di spostarmi più in avanti e fu una scelta vincente dato che la partita finì 3-3 grazie a una mia tripletta. Nei giorni seguenti Valentini, Meacci e Medici per conto della società biturgense vennero a casa mia a chiedere ai miei genitori se potevo andare a giocare nel Sansepolcro. Inizialmente non volevano perché eravamo una famiglia di contadini e dovevo lavorare, ma poi si convinsero e così all’età di 16 anni iniziò la mia avventura in bianconero.
Come fu l’approccio?
Giocai un anno con la juniores, poi la stagione successiva fui aggregato alla prima squadra nel campionato di Promozione. C’erano giocatori forti come ad esempio Catalani ed io ero il più giovane, però giocai ed alla fine del campionato pur non vincendolo venimmo ripescati in Serie D. Debuttai a Foligno e in quella partita vincemmo 1-0. La mia prestazione fu positiva e da quel momento diventai titolare, saltando in pratica solo l’anno in cui essendo militare giocai con la Nazionale Aeronautica. Mi ricordo comunque come se fosse ora il giorno del debutto a Foligno, così come mi ricordo la battuta di Enzo Piccini a fine gara.
Ce la racconti?
Io giocavo da stopper ed Enzo, ottimo giocatore anche se non molto alto, da libero. In quella gara dovevo marcare Perli, centravanti classico, alto anche più di me, spalle larghe, fisicamente molto dotato e micidiale nel gioco aereo. Fu un bel duello e dal mio punto di vista andò bene, dato che lo controllai egregiamente e che vincemmo 1-0. Dopo il fischio finale Enzo mi si avvicinò e mi domando “quanto è finita la partita?” Io lo guardai un po’ così e lui sorridendo mi disse “dietro voi due, così grandi e grossi, non sono riuscito a vedere niente”. E giù risate. C’era un clima positivo in quel Sansepolcro ed era un calcio diverso da quello di oggi, fatto di amicizia, attaccamento alla maglia, voglia di fare, clima familiare e semplicità. Un altro episodio che ricordo bene e che conferma questi fattori fu il colloquio con il presidente Oelker.
Cosa successe in quel caso?
Nei primi anni di Serie D mi convocò in sede e assieme a noi c’era il segretario Francini. Mi chiese come mi trovavo nel Sansepolcro e io gli risposi che stavo bene ovviamente. Parlando gli dissi che la mia famiglia non era certo benestante e che venivo in bici agli allenamenti dato che i miei lavoravano. Lui allora si voltò verso Francini e gli disse “fai un assegno di 5.000 lire al mese a Chiasserini”, cifra che per quegli anni e soprattutto per un ragazzo giovane non era affatto male. Tornai a casa con la mia bici tutto felice e mostrai l’assegno al mio babbo. Lui lo guardò ed esclamò “Finita la miseria”.
Prima di arrivare alla storica promozione in Serie C hai vissuto tante stagioni positive. C’è un momento che più degli altri ti è rimasto impresso?
Il doppio confronto nel campionato 1974-1975 con la Pistoiese, compagine fortissima che poi conquistò il successo finale. A Sansepolcro all’andata vincemmo noi 1-0 e mi ricordo che fu montata una tribuna in più vista la gente presente, mentre al ritorno sugli spalti dello stadio di Pistoia c’erano più di 12.000 persone e non dimenticherò mai il rumore assordante dei fischi che ricevemmo quando entrammo in campo.
Veniamo alla stagione più bella, con la promozione dalla Serie D alla Serie C2 nella stagione 1978-1979. Una grande impresa che credo sia ancora ben viva nei tuoi ricordi.
Una cavalcata incredibile, con un finale in crescendo ed emozioni che non si cancellano. Pur essendo una squadra forte non eravamo partiti con il favore del pronostico, né con l’obiettivo di vincere il campionato. Però con il passare delle domeniche abbiamo iniziato a crederci e ad acquisire consapevolezza. Così siamo arrivati al rush finale per la promozione in Serie C lottando punto a punto con Città di Castello e Fermana. Nel penultimo turno sul campo del Sassuolo segnai di piede il gol che ci consentì di affrontare la partita in casa con il Russi con la possibilità di salire tra i professionisti anche pareggiando.
E così andò, ma l’ultima di campionato non fu certo una partita banale. Tante le emozioni vissute fino poi ai festeggiamenti.
Prima della partita dentro il campo avevano portato una capretta vestita di bianconero e si respirava già un clima di festa con tanto entusiasmo e uno Stadio Buitoni gremito di gente. Eravamo a un passo dal coronare il nostro sogno, ma nei primi minuti il Russi sfiorò due volte il gol del vantaggio e in una di queste occasioni anche con un pizzico di fortuna salvai un pallone sulla linea. Stavamo rischiando grosso, così mi feci sentire ecco, mettiamola così, e l’inerzia cambiò. La sfida finì 0-0 e festeggiammo quel meritato trionfo con la città e gli sportivi. Fu una grande impresa ed un risultato storico. Ricordo ovviamente con grande piacere anche gli anni della Serie C e tutta la mia carriera a Sansepolcro. Quanti giocatori forti sono passati in quelle stagioni.
Chi è stato secondo te il migliore e con chi sei rimasto più in contatto?
Tanti ce ne sono stati come dicevo, ma il nome che faccio sempre è quello di Giorgio Bonfante. Aveva un piede formidabile, una visione di gioco eccezionale ed era anche un grande uomo. Quando l’allenamento finiva io e Bonfante rimanevamo in campo per provare le palle inattive. Lui calciava e io colpivo di testa a cercare il gol. Schemi che la domenica poi tornavano utili, come conferma una foto molto bella scattata al Buitoni in una gara con l’Entella Chiavari quando io saltai altissimo e segnai il gol proprio di testa su un suo cross. Poi eravamo molto amici e lo siamo rimasti anche oggi. Un altro molto forte era Ottoni che infatti poi ha militato in categorie superiori. Quando era a Sansepolcro gli dicevo scherzando “se andrai a giocare tra i professionisti ricordati che devi mandarmi i soldi perché tutto quello che hai imparato te l’ho insegnato io”. Invece io ho imparato tanto da calciatori come lui e gli altri. Ridevamo tanto e con tutti i miei ex compagni ho un grande rapporto di amicizia. Ci sentiamo spesso e con alcuni quando possiamo ci vediamo. Con quelli che abitano qui è facile, con gli altri ci siamo rivisti quando abbiamo ricevuto un riconoscimento dalla città e dall’Amministrazione 40 anni dopo la promozione in Serie C. È stato bello ritrovarsi, ripercorrere quei tempi e capire che quell’impresa è ancora nel cuore della gente.
Sei mai stato vicino a lasciare il Sansepolcro?
Ho ricevute varie proposte ovviamente ed una volta mi chiamò Mazza presidente della Spal che giocava in Serie B, ma non andai. Avevo il mio lavoro alla Buitoni e anche la mia famiglia preferiva che restassi a casa. Non ho rimpianti per quella scelta anche se fui lusingato della chiamata.
E dopo la tua lunga avventura al Sansepolcro?
Nel 1981 il Subbiano mi fece un’offerta triennale importante a livello economico e scesi in Prima Categoria. Mi dovetti adattare a un calcio diverso, ma lo feci velocemente e vincemmo il campionato. I due anni seguenti in Promozione furono positivi, poi mi chiamò la Sampierana, sempre in Promozione. Il primo anno mister e giocatore, ma a fine campionato mi lesionai il crociato, quindi la stagione dopo giocai poco e mi concentrai nel ruolo di allenatore. Una bella esperienza quella alla Sampierana con il record di imbattibilità del portiere Agostinelli ed un gruppo di amici con cui ci vediamo ogni volta che possiamo. Da allenatore ho vissuto altre favolose esperienze: i 7 anni alla Baldaccio Bruni Anghiari con due campionati vinti e l’anno del centenario coronato con la prima storia promozione in Eccellenza, i due campionati e la Coppa Toscana conquistati con il Pratovecchio, ma anche le stagioni a Subbiano, Rassina, Quarata, Capresana e Asca Anghiari.
Oggi segui il calcio?
Lo seguo perché resta una grande passione anche se è molto cambiato rispetto ai miei tempi. A ogni livello si cerca troppo il possesso palla verticalizzando poco, stile Barcellona di Guardiola, ma poi non tutti hanno Messi e quindi non è la stessa cosa. Comunque vado allo stadio quando posso e seguo il Sansepolcro. Della società fa parte anche mio figlio Stefano, ma a casa di calcio non si parla. Io non mi intrometto mai e seguo solo da tifoso.
Come ci si sente ad essere “la bandiera per antonomasia” della squadra della tua città?
È un motivo di soddisfazione e di grande orgoglio per me. La maglia bianconera la sento sulla pelle ed in ognuna delle circa 500 partite disputate da capitano con la maglia del Sansepolcro ho dato l’anima. È stato un grande onore. Ero visto come un leader per il mio carisma e per il mio modo di giocare, sempre con determinazione e carattere. È bello ancora oggi essere considerato una bandiera del Sansepolcro e aver lasciato un positivo ricordo. Per questo motivo successivamente non ho voluto ricoprire altri ruoli all’interno della società bianconera, né come dirigente, né come allenatore o della prima squadra o del settore giovanile. La mia storia in bianconero è stata così bella che non ho mai voluto rischiare di intaccarla nel caso le cose non fossero andate bene e sono felice di aver deciso così.