In Valtiberina, il 27 marzo è ricordato come il giorno in cui, nel 1944, persero la vita nove giovani partigiani biturgensi della brigata “Eduino Francini”, presso la località di San Pietro a Monte, in territorio umbro. L’episodio, come ricorda Alvaro Tacchini nel volume La battaglia di Villa Santinelli e la fucilazione dei partigiani, si inserisce in un contesto di disordini generali iniziati a Sansepolcro il 19 marzo, quando la popolazione biturgense si ribellò alle autorità fasciste contravvenendo al coprifuoco e, nella stessa sera, un gruppo di partigiani disceso dall’Alpe della Luna fece un’incursione in città (qui il racconto di quell’episodio).
Successivamente i partigiani si divisero in tre gruppi: Eduino Francini si mosse verso l’Umbria, insieme ad altri 12 compagni; altri tornarono sull’Alpe della Luna, mentre un gruppo si spostò sull’Alpe di Catenaia. Il gruppo di Francini si unì ad altri cinque ragazzi presso la zona di Molin Nuovo, costituendo un gruppo di 18 partigiani. La mattina del 25 marzo raggiunsero la frazione tifernate di San Pietro a Monte, strada che collega l’Umbria alla Toscana, precisamente l’Alta valle del Tevere a Cortona. Riuscirono ad introdursi a Villa Santinelli qualificandosi come militi della Guardia Nazionale Repubblicana e, dopo essere entrati, dichiararono di essere partigiani. Chiesero di potersi riposare e rifocillare per qualche giorno e presero “in ostaggio” l’intera famiglia, composta dal capo famiglia Giovanni Battista Santinelli, i figli Sante e Giovanni Battista con tutti i congiunti, più i domestici.
La notte tra il 26 e il 27 marzo un collaboratore di Sante Santinelli gli fece sapere che i fascisti di Città di Castello, informati della presenza dei partigiani in quel territorio, stavano organizzando una spedizione verso la villa. Molto si è discusso su chi abbia comunicato ai fascisti la presenza dei partigiani in villa. La compagnia della GNR di Città di Castello arrivò alla villa attorno alle 23:30: i militi circondarono l’edificio, mentre i partigiani iniziarono a barricarsi al suo interno. Cominciò una battaglia fatta di colpi di mitragliatrice e mortaio, fino a quando, nel pomeriggio del 27 marzo, la villa iniziò a cadere in rovina, i partigiani stremati rimasero senza munizioni e intervennero rinforzi tedeschi. Verso le 18:30 i partigiani uscirono dalla villa, sembrerebbe dopo aver ricevuto la promessa di aver salva la vita in caso di resa: furono perquisiti e interrogati, dichiarandosi “apertamente comunisti”.
Tra i partigiani catturati, Sergio Lazzerini fu uno dei pochi a salvarsi e di quel tragico evento ricorda: “Contrariamente alla promessa, appena avutici in loro potere ci seviziarono crudelmente, torturandoci con calci, pugni, nerbate e con colpi di calcio di armi automatiche. Infine, vedendoci ridotti allo stremo, decisero la nostra fucilazione”. Alle ore 20 i partigiani, divisi in due gruppi, furono condotti davanti alla villa con le mani legate dietro al dorso e, successivamente, avvenne la fucilazione. Il primo gruppo comprendeva Eduino Francini, Donato Sbragi, Spartaco Forconi, Giustino Bianchini, Alvaro Cheli. Il secondo gruppo era formato da Giuseppe Gobbi, Corrado Luttini, Giuseppe Magnani, Mario Mordaci.
Nel suo diario personale – ricorda Alvaro Tacchini – il patriota e partigiano tifernate Venanzio Gabriotti, annotò quotidianamente le notizie che giungevano da San Pietro a Monte. Seppur cosciente degli errori commessi dai partigiani a Villa Santinelli e preoccupato per le violenze che rischiavano di aumentare, fu colpito dal grande coraggio con cui i giovani affrontarono il loro destino.