150 anni dopo: cosa resta del 20 settembre 1870?

Un episodio più geopolitico che militare che ha contraddistinto la storia d’Italia e la toponomastica di Sansepolcro e molte altre città

Particolare di un affresco di Giuseppe Vizzotto Alberti sulla Breccia di Porta Pia

Passeggiare nella domenica elettorale nella strada principale di Sansepolcro fa riflettere sul fatto che probabilmente solo una piccola minoranza di persone è oggi consapevole del perché la Via Maestra, già Corso Umberto, oggi si chiami Via XX Settembre.

Eppure appena nove anni fa tutta Italia celebrò, con un giorno festivo in una poco conosciuta data di marzo, i centocinquanta anni dall’unità del Paese. Per quell’anniversario fu scelto il 17 marzo, giorno del 1861 nel quale fu proclamato il Regno d’Italia e Vittorio Emanuele II fu elevato a Re d’Italia. L’unità nazionale era ancora parziale dato che, nonostante l’Impresa dei Mille e i plebisciti del centro Italia, mancavano ancora pezzi importanti di territorio. Il Veneto arrivò nel 1866, Roma e il Lazio nel 1870. Ancora, si dovette aspettare la Prima Guerra Mondiale per vedere Trento e Trieste unirsi al resto dell’Italia.

La Breccia di Porta Pia, la cessazione del potere temporale dei Papi e la fine dello Stato Pontificio sono da sempre eventi delicati e che a distanza di un secolo e mezzo continuano a dividere parte dell’opinione pubblica. Eppure sembra inimmaginabile pensare che l’Italia unita del 1861 fosse priva della sua storica capitale e che per arrivare a prenderne possesso sarebbero serviti quasi dieci anni, molta diplomazia e anche del sangue. Non erano mancate, nel passato, le occasioni in cui parte della popolazione di Roma avevano manifestato interesse a liberarsi del potere temporale dei Papi, ma la politica internazionale rendeva inavvicinabile la futura capitale d’Italia. La Repubblica Romana e le stesse intenzioni di Garibaldi durante l’Impresa dei Mille, quando fu bloccato in Aspromonte nel 1862 e a Mentana nel 1867, rappresentarono alcuni dei tentativi più recenti di annettere i domini pontifici ristretti a Roma e al Lazio dopo l’occupazione di Umbria e Marche da parte dell’esercito sabaudo nel 1860.

I fatti del settembre 1870 furono figli di improvvisi e mutati scenari internazionali. Lo Stato Pontificio godeva della protezione militare e politica della Francia e qualsiasi trattativa condotta dallo Stato Sabaudo prima e dall’Italia poi non trovò mai il consenso francese sull’ipotesi di annettere lo Stato Pontificio. Nell’estate del ’70 il ruolo internazionale della Francia e del suo imperatore Napoleone III furono ridimensionati nella sconfitta durante la Guerra franco-prussiana. L’Italia agì su due tavoli ipotizzando un sostegno alla Francia in cambio del via libera a muoversi su Roma. Ciò non fu necessario, vista la capitolazione francese e la conseguente caduta di Napoleone III. Con la Francia impegnata a difendersi dai prussiani arrivati alle porte di Parigi il Papa chiese aiuto a tutte le potenze europee per il timore fondato che l’Italia decidesse di approfittare della situazione. Dall’Europa arrivarono parole ma non armate. Ad ogni modo il Regio Esercito guidato da Raffaele Cadorna circondò il Lazio, ufficialmente per impedire che bande armate potessero varcare i confini pontifici o per essere pronti ad intervenire in caso di disordini. A questo seguì un tentativo diplomatico, non andato a buon fine, per convincere Pio IX ad un accordo che in ogni caso avrebbe salvaguardato la figura del Pontefice e la sua autorità spirituale.

Il generale Raffaele Cadorna

Persa la speranza di riuscire a trovare una soluzione pacifica, l’esercito italiano, forte di 50.000 uomini contro 15.000 al servizio del papato, entrò nello Stato Pontificio l’11 settembre. In circa quattro giorni fu occupato l’intero territorio senza significativi scontri. Le truppe di Cadorna si fermarono attorno alle storiche mura di Roma nella speranza che la controparte si arrendesse, cosa che non avvenne. Pio IX e il Segretario di Stato Giacomo Antonelli decisero di attuare una resistenza simbolica: non arrendersi e far iniziare lo scontro militare faceva parte degli ordini impartiti ai propri generali.

La Breccia di Porta Pia

La mattina del 20 settembre 1870 cominciò il cannoneggiamento della mura di Roma. Siccome il Papa aveva minacciato di scomunica colui che avesse dato l’ordine, invece che da Cadorna l’ordine partì dal capitano Giacomo Segre, di religione ebraica e quindi immune alle minacce di Pio IX. Alcune azioni diversive servirono a disorientare i difensori di Roma, che non capirono da subito dove Cadorna intendesse sfondare le mura. Tra Porta Salaria e Porta Pia le antiche mura ressero oltre quattro ore ai cannoneggiamenti italiani. Una volta creatasi un breccia larga una trentina di metri furono i Bersaglieri a ricevere l’ordine di penetrare all’interno della città. Gli scontri non furono intensi e molto velocemente i pontifici issarono bandiera bianca lungo l’intero perimetro della città. Il conto ufficiale delle vittime parla di 32 morti e 143 feriti sotto la bandiera italiana e di 15 morti e 68 feriti nell’esercito del Papa. Entro sera l’intera Roma, ad eccezione della città leonina e Castel Sant’Angelo, era sotto il controllo del Regio Esercito. I fedeli al Papa, cui fu concesso l’onore delle armi, si concentrarono nei pressi del Vaticano in attesa di comprendere cosa sarebbe successo. Il caos seguìto alla concentrazione di migliaia di soldati nei pressi di San Pietro costrinse il Papa a chiedere l’intervento degli italiani per mantenere l’ordine e con l’occasione Cadorna occupò anche Castel Sant’Angelo e tutto lo spazio esterno a quella che oggi è conosciuta come Città del Vaticano.

Il cardinale Giacomo Antonelli, segretario di stato pontificio

Dall’occupazione ai giorni nostri

Il 2 ottobre fu organizzato un plebiscito con l’ovvio risultato della vittoria dei favorevoli all’annessione al Regno d’Italia. Consenso ancora più vasto considerato il boicottaggio dei contrari a questa opzione. Le reazioni internazionali furono di condanna verso l’Italia anche se alle parole non seguirono fatti degni di considerazione. Il Papa non riconobbe l’annessione e si dichiarò prigioniero politico dello Stato Italiano. Il Pontefice arrivò anche a vietare ai cattolici di prendere parte alla vita politica italiana.

L’Italia d’altro canto approvò la “Legge delle Guarentigie” che regolò, seppure in modo unilaterale, i rapporti tra Stato e Chiesa prevedendo l’inviolabilità del Pontefice, la presenza di una guardia armata all’interno dei territori non annessi al Regno d’Italia e la disponibilità di alcuni palazzi e chiese anche al di fuori dal Vaticano, come Castel Gandolfo o il Laterano. Il Vaticano era libero di applicare proprie leggi, aveva garantita la libertà di comunicazione con l’estero e di rappresentanza diplomatica, e perfino una rendita economica che l’Italia avrebbe versato annualmente.

Pio IX e successori continuarono a considerarsi non liberi di svolgere il proprio magistero fino a quando, nel 1929, un accordo tra Italia e Santa Sede fu raggiunto con i Patti Lateranensi, occasione in cui avvenne il riconoscimento reciproco fra i due Stati e un miglioramento dei rapporti. I Patti Lateranensi trovarono posto anche all’interno della Costituzione della Repubblica Italiana e sono tuttora, in vigore passando da una seria revisione avvenuta nel 1984.

Ad esclusione di Porta Pia, dove annualmente avviene una ricorrenza organizzata dal Comune di Roma e dal corpo dei Bersaglieri, sono davvero poche le amministrazioni comunali che ricordano la data del XX settembre ponendo anche una semplice corona dall’alloro nelle strade che portano il nome dello storico evento.

Il cardinale Casaroli e il primo ministro italiano Bettino Craxi firmano il Concordato del 1984
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